Dopo una riunione fiume, lo scorso 15 giugno, il governo Letta ha licenziato il “decreto del fare” ( tutte le misure previste): tra gli ottanta punti previsti dal decreto, quello che ha riscosso l’immediato interesse dei media e dell’opinione pubblica è stato l’impignorabilità della prima casa. Come riporta il comunicato stampa pubblicato dal sito del Governo, alla voce “semplificazione fiscale – Pignorabilità delle proprietà immobiliari”:
Se l’unico immobile di proprietà del debitore è adibito ad abitazione principale, non può essere pignorato, ad eccezione dei casi in cui l’immobile sia di lusso o comunque classificato nelle categorie catastali A/8 e A/9 (ville e castelli).
Per tutti gli altri immobili, il valore minimo del debito che autorizza il riscossore a procedere con l’esproprio dell’immobile, è stato innalzato da 20mila a 120mila euro.
L’esecuzione dell’esproprio può essere resa effettiva non prima di 6 mesi dall’iscrizione dell’ipoteca, mentre in passato erano sufficienti 4 mesi.
Per quanto riguarda le imprese, i limiti alla pignorabilità già presenti nel codice di procedura civile per le ditte individuali sono estesi alle società di capitale e più in generale alle società dove il capitale prevalga sul lavoro.
Il primo aspetto da approfondire è semplice: come si arriva(va) al pignoramento della prima casa? È bene sottolineare che il Codice Civile stabilisce che “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri” (articolo 2470 C.c.), e quindi anche con la prima casa, questo perché il legislatore si è posto il giusto obiettivo di prevenire ogni qualsivoglia tentativo, in caso di inadempienze, di sottrarsi alla pretese dei creditori. Questa semplice “regola”, è alla base del mercato del credito (e di riflesso, di garanzia nei confronti del sistema bancario), in quanto rassicura l’investitore sul fatto che le promesse di pagamento verranno rispettate.
E ora questa forma di garanzia viene meno, almeno per lo Stato. La prima casa, così come stabilito dal decreto, non potrà essere pignorata dall’agente di riscossione (quindi Equitalia in primis) salvo in cui l’immobile non sia una villa, un castello, o un palazzo di pregio; per gli altri beni immobili posti a garanzia, il debito per cui si procederà dovrà essere superiore ai 120mila euro. Ciò però non esclude che per debiti nettamente inferiori, altri soggetti, per esempio le banche (ma anche i privati) possano procedere comunque al pignoramento immobiliare. E questo, in definitiva, è un punto che cambia poco alla situazione attuale di mercato. Inoltre il fatto che la misura non riguardi gli immobili di lusso è un elemento ben poco influente e serve solo a fare un po’ di demagogia.
Ma possiamo parlare allora di immunità o “condono creditorio” per tutti coloro che posseggono una casa? Per certi versi, sì, perché tutti i proprietari, si trovano da oggi, di fatto, a non veder aggredito il principale componente del proprio patrimonio, ovvero la casa, per i debiti contratti con lo Stato, che possono quindi rimanere inadempiuti senza conseguenze. E proseguendo su questo filone, potrebbero verificarsi comportamenti distorti dato che converrebbe organizzare il proprio patrimonio sul possesso di prime case. Soffermiamoci a riflettere un attimo: una prima casa (non attaccabile) più grande rende immune una porzione più grande di patrimonio, e, parallelamente una prima casa per ogni familiare permetterebbe di rendere immune un patrimonio cospicuo. Il tutto perché la non riforma del catasto negli ultimi vent’anni ha provocato storture che ben conosciamo, e che in 43 giorni il governo Letta dovrebbe rimediare.
Più assennata, ma di fatto con pochi riflessi pratici, l’altra misura contenuta nel decreto, che riguarda le imprese a cui Equitalia non potrà pignorare più di un quinto dei propri beni che resteranno nella disponibilità dell’azienda. L’eventuale vendita all’asta potrà avvenire soltanto dopo 300 giorni dal pignoramento. Una buona misura quindi, ma con la crisi economica, cambia poco per un’azienda che si trova a dover a far fronte con un calo degli ordinativi, e quindi di conseguenza, del fatturato.
E a fronte di tutto ciò come potranno rispondere le banche? Offrire una casa (di fatto) impignorabile come garanzia per l’ottenimento di un prestito, potrebbe, a prima vista, essere un buona notizia, ma a ben vedere è offrire di fatto un bene che non ha valore. Il perché è presto detto: come potrebbero le banche concedere credito a persone la cui consistenza patrimoniale pignorabile dallo Stato, diventa di fatto un’incognita? Senza contare poi che, in attesa dei decreti attuativi, ad oggi le prime case sono impignorabili solo per debiti erariali ma sei poi ci dovessero essere manovre di tutela dei privati anche per i debiti verso le banche?
L’ultima domanda infine: tutto ciò potrà avere un riflesso sul mercato dei mutui?Secondo gli ultimi dati ISTAT rilasciati la scorsa settimana, nel IV trimestre 2012 è continuato il crollo registrato negli anni passati: mutui, finanziamenti ed altre obbligazioni con ipoteca immobiliare stipulate con banche o soggetti diversi sono diminuiti del 30,6 per cento. Il calo nell’intero anno è stato del 37,4% sul 2011. Rispetto al 2006 si sono più che dimezzati, -54,7 per cento. Nessuna previsione, ma è possibile, che questo decreto, alla luce delle ultime considerazioni, e in attesa dei decreti attuativi, amplifichi nuovamente il credit crunch?
Staremo a vedere, certo è che se, come emerso ad una recente audizione degli stessi dirigenti di Equitalia in Parlamento, nei primi quattro mesi del 2013 a fronte di 733 pignoramenti di immobili registrati da gennaio ad aprile – su un totale di 19,1 milioni di prime case – le vendite effettive alle aste sono state appena 52, il problema non è tanto, o meglio non solo l’impignorabilità della prima casa, quanto la mancanza di sviluppo del Paese.
Fonte: infiltrato.it
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