Il Decreto "Sblocca-Italia" si caratterizza già per l'arroganza del suo nome, uno slogan che manifesta le pretese messianiche di tutta la comunicazione del governo Renzi. Come se il mondo non avesse aspettato altro che lui, Matteo Renzi si spaccia come un novello redentore che ordina all'Italia paralitica di alzarsi e di camminare
. Ciò è in linea con le attuali tendenze del "management", sia pubblico che privato, in cui ogni nuovo dirigente si presenta come colui che è destinato alla missione di guarire le piaghe causate dalle gestioni precedenti. Ma l'arroganza pubblicitaria degli slogan ovviamente è solo la copertura di un'arroganza lobbistica, perciò il sedicente "Sblocca-Italia" si sta rivelando come uno sblocca-multinazionali. In questi giorni è arrivato agli onori delle cronache il caso della multinazionale americana GlobalMed che ha riscosso agevolmente dal governo la concessione per ricerche petrolifere nel Salento, con tutte le prospettive di devastazione ambientale che ciò comporta.
Al di là della retorica ufficiale sui benefici mirabolanti derivanti dagli "investimenti esteri", gli effetti della calata delle multinazionali su un territorio sono invariabilmente quelli del saccheggio indiscriminato delle risorse locali. La distruzione non è un semplice effetto collaterale, ma un approccio brutale che tende a disarmare materialmente e psicologicamente un Paese. Una nazione ricca di risorse minerarie come la Nigeria, è oggi ridotta allo stremo dall'invadenza ed ingerenza delle grandi multinazionali del petrolio. La propaganda dei media occidentali scarica tutte le colpe del disastro nigeriano sulla "corruzione" locale, e dietro questo alibi anche l'Agip fa la sua parte nel "saccheggia e distruggi".
Il calo del prezzo del petrolio non sta determinando un corrispondente calo della produzione, ma una crescente attività estrattiva per continuare ad aumentare in qualsiasi modo i profitti. La caduta del prezzo delle materie prime è trattata dai media con i consueti toni catastrofici, come se un petrolio al di sotto dei cento dollari al barile non continuasse a coprire di un centinaio di volte l'effettivo costo di produzione del petrolio stesso. Vittimismo ed emergenzialismo rappresentano infatti la linea comunicativa obbligata in qualsiasi questione in cui siano in gioco gli interessi delle multinazionali, poiché terrorizzando ed avvilendo l'opinione pubblica si può far passare come stato di necessità qualsiasi provvedimento a favore del business.
Dalla famosa messinscena delle domeniche di "austerity" dell'inverno del 1973/1974, tutto ciò che concerne il petrolio è stato fatto vivere sotto la cappa dell'emergenza. In quel caso la colpa fu scaricata sulla protervia degli sceicchi e dell'OPEC, ma rimane il dato storico di una colossale mistificazione politico-mediatica a livello europeo, poiché un semplice aumento dei prezzi fu presentato addirittura come un blocco delle forniture.
L'ultimo decennio è stato caratterizzato dall'allarme crescente sull'esaurimento delle risorse petrolifere del pianeta; così il petrolio si è avvalso narrativamente anche dell'alone romantico del moribondo. Oggi l'allarme si concentra invece sull'eccesso di produzione dovuto alle nuove tecniche estrattive, con tutti i rischi di riscaldamento globale e di caduta dei prezzi che ciò comporta. Da un'emergenza a quella opposta, ed all'opinione pubblica spetta invariabilmente di inchinarsi e di credere.
A fronte del vittimismo occidentale, la Russia di Putin sembra aver adottato invece un atteggiamento più "virile". Putin infatti si dichiara pronto a gestire la crisi dei prezzi dell'energia, e contestualmente inasprisce la polemica contro gli USA, accusati di boicottare tutte quelle decisioni del G-20 che mettano in forse il predominio statunitense sugli organismi sovranazionali come il Fondo Monetario Internazionale. Se da un lato Putin ha buon gioco nel mettere in evidenza la storica inaffidabilità statunitense, dall'altro lato egli continua a dar credito a quel "mondialismo" che costituisce il migliore veicolo dell'invadenza delle multinazionali.
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