Napoli, l’INGV trivella il supervulcano flegreo. I cittadini temono innesco eruzione. Di Stefano Pisani
Il Deep Drilling Project è coordinato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e dal German Research Centre for Geosciences di Postdam. I dati raccolti saranno poi inviati e studiati ad università e centri di ricerca sparsi in tutto il mondo. Tra gli obiettivi anche la possibile produzione di energia
Qualche giorno fa sono cominciate le perforazioni nel supervulcano dei Campi Flegrei (Napoli) nell’ambito del Deep Drilling Project, e sono già arrivate a 200 metri di profondità. Si tratta di un vulcano molto particolare che ha la forma di un’enorme caldera circolare che si estende da Posillipo a Nisida e che per metà è nascosta dai palazzi in cui vivono 500 mila napoletani e per l’altra metà dal mare della Baia di Napoli. Esistono solo una decina di vulcani come questi nel mondo: strutture capaci di eruzioni molto violente, anche se per fortuna molto rare, e che restano un vero e proprio mistero per la scienza.
Con una sonda i ricercatori penetreranno nel sottosuolo e arriveranno a circa 4 chilometri di profondità, proprio sopra dove si pensa che si trovi la camera magmatica. “Questo vulcano è davvero strano. E’ responsabile principale del bradisismo, cioè l’innalzamento e l’abbassamento del suolo all’interno della caldera, ma non sappiamo ancora come funziona” spiega Giuseppe de Natale, il ricercatore responsabile di questo ambizioso progetto. Il Campi Flegrei Deep Drilling Project è infatti coordinato da Giuseppe Di Natale dell’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e da Ulrich Harms del German Research Centre for Geosciences di Postdam, ed è stato presentato per la prima volta a dall’Ingv a Poznan nel 2008 nell’ambito della conferenza mondiale sui cambiamenti climatici. L’obiettivo è “monitorare e studiare questo vulcano per mitigare il rischio e conoscere dall’interno com’è strutturato e come funziona un supervulcano in modo da avere le informazioni necessarie a interpretare i segnali che ci arrivano e driuscire a prevenire una eventuale eruzione” ha spiegato Di Natale.
I dati raccolti saranno poi inviati e studiati per un confronto ad università e centri di ricercasparsi in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Inghilterra, dalla Svizzera alla Germania. I rilevamenti saranno accessibili tramite internet e serviranno anche a porre le basi per un sistema di previsione dei rischi sismici e vulcanici. Inoltre, il progetto potrebbe avere finalità anche relative allo sfruttamento di un’energia rinnovabile come quella geotermica, come traspare dalle parole di Enzo Boschi che nel 2008, quando era a capo dell’Ingv, dichiarò: “Oltre alle più citate energie eoliche e solari, ci sono senz’altro anche quelle geotermiche che consistono nello sfruttamento del calore interno della Terra. Quello che ci proponiamo di fare è cogliere contemporaneamente due opportunità offerte dall’area dei Campi Flegrei: una migliore conoscenza del suo sistema di alimentazione magmatico e dell’interazione fra il magma e gli acquiferi profondi dell’apparato vulcanico, e uno sfruttamento pratico di una parte dell’energia in esso immagazzinata”.
Un passo importante anche in vista degli obiettivi europei di raggiungimento della quota del 20 per cento di fonti di energia alternative entro il 2020. Il progetto potrebbe dunque dare anche un contributo alla ricerca per uno sfruttamento geotermico delle aree vulcaniche italiane, consentendo di valutare le migliori tecnologie di produzione energetica dal calore raccolto dai fluidi cosiddetti ‘supercritici’, a temperature cioè ben maggiori di 400 gradi, con rendimenti nella produzione di energia elettrica fino a dieci volte superiore rispetto ai fluidi normalmente utilizzati, ad esempio negli impianti di Larderello, in Toscana, a 300 gradi circa.
Qualcuno ritiene però che fare un buco nel cuore di un vulcano potrebbe avere delle conseguenze, anche pericolose, come per esempio innescare un’eruzione. E’ per questo che l’approvazione del progetto, avvenuta nel 2009 da parte dell’International Continental Scientific Drilling Program (Icdp), è stata accompagnata da numerose polemiche e l’inizio delle trivellazioni è stato inizialmente bloccato. I lavori, che dovevano infatti partire nel 2010, sono stati bloccati dall’allora sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino, anche a fronte delle numerose contrarietà espresse dal sorgere dicomitati civici di protesta (come avvenuto per esempio in Emilia-Romagna anche se in quel caso si temevano trivellazioni abusive ) e emerse anche nello stesso mondo della ricerca scientifica. Come quelle di Benedetto De Vivo, docente di Geochimica ambientale all’Università Federico II di Napoli, secondo cui non c’è nessuna utilità nel trivellare i Campi Flegrei, visto che la conformazione del sottosuolo era già conosciuta, grazie alle trivellazioni effettuate dall’Agip negli anni Settanta e Ottanta che avevano tra l’altro messo in luce anche l’alta salinità dei fluidi, cosa che rendeva impossibile ricavarne energia.
Sui pericoli che potrebbero essere corsi il professore ha anche aggiunto che “c’è differenza tra pericolo e rischio: quest’ultimo è legato alla popolazione esposta e l’area che sarà soggetta alla perforazione presenta un rischio enorme. Queste operazioni non si fanno nelle città, non c’è nessun rapporto costo-beneficio che giustifichi il vantaggio presunto dell’operazione, quale esso sia”. Critiche a cui Di Natale ha risposto “Negli anni Settanta e Ottanta, in pieno bradisismo, ci furono perforazioni da parte di Enel e Agip anche piuttosto profonde per scopi geotermici. Si arrivò a 3.050 metri di profondità, ma le risorse trovate non erano sfruttabili con i criteri di allora perché si prevedevano centrali troppo grandi e inoltre l’Italia in quel momento era concentrata sul nucleare. La maggior parte delle conoscenze che abbiamo sul vulcano di Campi Flegrei si deve a quei pozzi, che pero’ avevano uno scopo diverso da quello del nostro progetto. Nel caso del Deep Drilling Project, è la prima volta invece che si fa una perforazione per scopi scientifici, per creare un osservatorio in profondità che studi il vulcano. Per la popolazione, inoltre, non c’è nessun pericolo, perché in questi anni sono già stati fatti dei pozzi che hanno raggiunto alcune camere magmatiche, ma non è successo assolutamente nulla”. Ulrich Harms è inoltre intervenuto sulla rivista “Science”, ribadendo come non ci sia alcun pericolo visto che perforazioni molto più profonde sono state effettuate in altre parti del mondo, non provocando alcuna conseguenza. In Val D’Enza, tra Parma e Reggio Emilia, le perforazioni alla caccia di metano hanno scatenato la paura dei residenti.
Con le elezioni del 2011 e la nomina a sindaco di Luigi De Magistris, comunque, i termini della questione si sono rovesciati. Il via libera è arrivato pochi mesi fa e le perforazioni sono cominciate alle fine di luglio. Finora, la trivellazione in quella che prima era l’area in cui sorgeva l’Italsider di Bagnoli, è giunta a 200 metri di profondità, arrivando a toccare il tufo giallo espulso dall’eruzione di 15.000 anni fa e che i ricercatori pensano debba occupare uno spessore di circa 100 metri. Entro il mese di ottobre 2012 dovrebbe essere completato questo primo pozzo pilota di 500 metri, a cui seguirà una pausa di riflessione per l’analisi dei dati fin lì raccolti per pianificare il proseguimento a quote chilometriche, che deve essere ancora autorizzato. Fra circa due anni si prevede di realizzare un secondo pozzo, profondo 3.500 metri.
di Stefano Pisani
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