(WSI) – Un nuovo collasso finanziario è alla porte. Sono numerosi – secondo Paul Mauson, in un editoriale
sul Guardian – i segni che alimentano l’idea che, sul mercato finanziario, stia per esplodere una nuova bomba le cui conseguenze potrebbero essere disastrose.
Mauson mette a questo proposito in fila i segnali di allarme. Si parte dal debito, che ha raggiunto livelli insostenibili. Dal 2007, l’ammontare totale del debito su scala globale è aumentato di 57 trilioni di dollari con una crescita annua pari al 5,3%. Un livello nettamente più alto rispetto alla crescita del Pil.
Altro segnale non meno preoccupante, indice che la domanda globale si muove sottotono è rappresentato dalle materie prime. “Il primo a crollare è stato il prezzo del petrolio che, da metà 2014, è sceso da 110 dollari al barile fino ai 49 dollari attuali” aggiunge Mauson, aggiungendo che il tasso di inflazione dei paesi del G7 è poco sopra lo zero.
La situazione non appare più brillante quando si passa ad analizzare il livello della crescita. “La Cina – motore di crescita della ripresa successiva all’ultima crisi finanziaria – si sta muovendo lentamente. Non fa meglio il Giappone, che ha recentemente rivisto al ribasso le stime sul Pil. Negli Stati Uniti, la fine della politica del QE ha rimesso in dubbio la tenuta della ripresa. Per non parlare dell’Europa, la cui crescita resta stagnante”.
Ultimo fattore, ma non meno importante è quello geopolitico. “Il prezzo prezzo del petrolio è crollato perché i sauditi volevano ostacolare l’industria fracking statunitense”. Per non parlare delle tensioni tra Stati Uniti e Russia, la crisi dei profughi in Europa. Insomma, ” il rischio più grande in questo momento non è lo scoppio di una bolla, quanto piuttosto il rischio che quest’ultimo si intrecci con la geopolitica. Ogni politico che minimizza o ignora questo rischio sta facendo quello che gli economisti miopi hanno fatto fino al 2008″. (MT)
Fonte: The Guardian
http://www.wallstreetitalia.com/apocalypse-now-la-nuova-crisi-finanziaria-e-gia-iniziata/
Mauson mette a questo proposito in fila i segnali di allarme. Si parte dal debito, che ha raggiunto livelli insostenibili. Dal 2007, l’ammontare totale del debito su scala globale è aumentato di 57 trilioni di dollari con una crescita annua pari al 5,3%. Un livello nettamente più alto rispetto alla crescita del Pil.
Altro segnale non meno preoccupante, indice che la domanda globale si muove sottotono è rappresentato dalle materie prime. “Il primo a crollare è stato il prezzo del petrolio che, da metà 2014, è sceso da 110 dollari al barile fino ai 49 dollari attuali” aggiunge Mauson, aggiungendo che il tasso di inflazione dei paesi del G7 è poco sopra lo zero.
La situazione non appare più brillante quando si passa ad analizzare il livello della crescita. “La Cina – motore di crescita della ripresa successiva all’ultima crisi finanziaria – si sta muovendo lentamente. Non fa meglio il Giappone, che ha recentemente rivisto al ribasso le stime sul Pil. Negli Stati Uniti, la fine della politica del QE ha rimesso in dubbio la tenuta della ripresa. Per non parlare dell’Europa, la cui crescita resta stagnante”.
Ultimo fattore, ma non meno importante è quello geopolitico. “Il prezzo prezzo del petrolio è crollato perché i sauditi volevano ostacolare l’industria fracking statunitense”. Per non parlare delle tensioni tra Stati Uniti e Russia, la crisi dei profughi in Europa. Insomma, ” il rischio più grande in questo momento non è lo scoppio di una bolla, quanto piuttosto il rischio che quest’ultimo si intrecci con la geopolitica. Ogni politico che minimizza o ignora questo rischio sta facendo quello che gli economisti miopi hanno fatto fino al 2008″. (MT)
Fonte: The Guardian
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