A Trieste sono almeno 45 le scuole che insegnano il "gioco del rispetto": dopo avergli fatto indicare i rispettivi genitali, fanno travestire i bimbi da femminucce e viceversa. Servirebbe ad annullare la "differenza di genere", noi la chiamiamo tirannia del pensiero. Paga (anche) la Regione Friuli
di Gianluca Veneziani
È incredibile quanto a volte il linguaggio riesca a travestire le cose. E costringa, al pari tempo, a travestirsi pure le persone, i bambini addirittura, spacciando questa pratica per cosa buona e giusta, per sano metodo educativo, per esperimento pedagogico lungimirante. E invece, dietro le parole, si nasconde l’indottrinamento e la dittatura del Pensiero Unico che usa come cavie – sì, come cavie da laboratorio – proprio gli esseri più indifesi, i “più piccoli”, come li chiamava il Buon Maestro.
Ecco perché suona come particolarmente odioso il progetto messo a punto in numerose strutture educative di Trieste e della Regione Friuli Venezia-Giulia (come si evince dal sitogiocodelrispetto.org), nel tentativo di avviare i bimbi alla scoperta della sessualità, all’insegna del – questo è il nome edulcorato dell’iniziativa – “gioco del rispetto”. Per “rispetto”, i presunti educatori delle scuole d’infanzia che hanno aderito al progetto (e solo per Trieste secondo il Gazzettino.it si parla di ben 45 strutture) intendono la possibilità per dei bambini di 4 o 5 anni di nominare, indicare e scoprire i rispettivi genitali, maschili e femminili, in modo da conoscersi meglio, sia chiaro; e poi, visto che non guasta, anche di travestirsi l’uno dall’altro, cioè i maschietti da femminucce e le femminucce da maschietti, per ridurre la cosiddetta “differenza di genere”, il gender gap, e far capire che la distinzione uomo-donna è solo un retaggio culturale, un pregiudizio, e l’identità sessuale, cioè l’appartenenza a un solo e unico sesso durante tutta la vita, è una violenza alla libertà di sentirsi un giorno “lui” e il giorno dopo “lei”, per poi tornare il giorno dopo ancora a essere “lui”, oppure “lui” e “lei” allo stesso tempo.
Massì, bisogna guardare avanti, le categorie “maschio” e “femmina” sono roba desueta che appartiene al secolo scorso e al Secondo Millennio. Ora va di moda l’indifferentismo sessuale: essere tutti e nessuno e sempre in mutamento. E questa, così ci dicono, non è mica manipolazione di giovani menti, non è plagio e lavaggio del cervello in nome di un’ideologia che vuole rieducare le nuove generazioni, ma no; è insegnamento e superamento delle differenze, è democrazia, signori.
Ora capiamo bene come la dittatura gender sia riuscita a infiltrarsi nella nostra società e a farsi accettare come avanguardia di progresso. È la stessa cosa successa qualche decennio fa ai tedeschi plagiati dai nazisti: uno dice, troppo esagerato come paragone. E invece no, a fare il confronto tra i due metodi è stato proprio Papa Francesco che in una risposta ai giornalisti – ovviamente occultata dai grandi media – ha accostato l’ideologia gender nelle scuole alla propaganda che indottrinava la gioventù hitleriana. Lo ha detto Papa Francesco, lo stesso di “Chi sono io per giudicare un gay?”. Proprio lui.
E ci ha visto lungo. Perché il segreto delle tirannie del pensiero, che di primo acchito sembrano a tutti folli e poi riescono a farsi accettare in modo inspiegabile da comunità vastissime, è l’uso sapiente della comunicazione che finisce per presentare il Male come Bene, lo scempio come educazione, le pratiche più discutibili come forme di accoglienza del diverso. È l’edulcorazione pericolosissima del linguaggio, che manipola le nostre menti e i nostri cuori e si inocula nelle nostre coscienze in modo omeopatico, a piccole dosi. Cosicché alla fine ce ne ritroviamo contagiati, senza essercene neppure accorti.
Dobbiamo stare attenti, molto attenti, allora. E dobbiamo conservare, nell’estrema Tebaide della nostra coscienza, la forza di distinguere il letame dai diamanti, e il coraggio di chiamare le cose con il loro nome e di dire, anzi di gridare, senza alcun perbenismo, che questa pratica di far travestire i bimbi da bambine e viceversa, e di far credere loro che non esistano due sessi ma cinquantasei e che non siamo fatti così per sempre, ma ognuno può diventare ciò che vuole solo perché gli pare, ebbene questa pratica è quanto di più lontano da ciò che una scuola, uno Stato e una comunità civile dovrebbero fare.
Ribelliamoci allora al sindaco di Trieste che ha promosso e avallato l’iniziativa, e a tutte le maestre che, tra ignoranza e colpevolezza, l’hanno portata avanti. Rispondiamo, boicottando il gioco del rispetto. E chiedendo un’educazione che tenga conto di un altro principio fondamentale: il rispetto della persona umana. Che viene prima del rispetto della diversità e prima ancora del rispetto delle idee (più o meno folli) che ci vorrebbero propinare.
di Gianluca Veneziani
È incredibile quanto a volte il linguaggio riesca a travestire le cose. E costringa, al pari tempo, a travestirsi pure le persone, i bambini addirittura, spacciando questa pratica per cosa buona e giusta, per sano metodo educativo, per esperimento pedagogico lungimirante. E invece, dietro le parole, si nasconde l’indottrinamento e la dittatura del Pensiero Unico che usa come cavie – sì, come cavie da laboratorio – proprio gli esseri più indifesi, i “più piccoli”, come li chiamava il Buon Maestro.
Ecco perché suona come particolarmente odioso il progetto messo a punto in numerose strutture educative di Trieste e della Regione Friuli Venezia-Giulia (come si evince dal sitogiocodelrispetto.org), nel tentativo di avviare i bimbi alla scoperta della sessualità, all’insegna del – questo è il nome edulcorato dell’iniziativa – “gioco del rispetto”. Per “rispetto”, i presunti educatori delle scuole d’infanzia che hanno aderito al progetto (e solo per Trieste secondo il Gazzettino.it si parla di ben 45 strutture) intendono la possibilità per dei bambini di 4 o 5 anni di nominare, indicare e scoprire i rispettivi genitali, maschili e femminili, in modo da conoscersi meglio, sia chiaro; e poi, visto che non guasta, anche di travestirsi l’uno dall’altro, cioè i maschietti da femminucce e le femminucce da maschietti, per ridurre la cosiddetta “differenza di genere”, il gender gap, e far capire che la distinzione uomo-donna è solo un retaggio culturale, un pregiudizio, e l’identità sessuale, cioè l’appartenenza a un solo e unico sesso durante tutta la vita, è una violenza alla libertà di sentirsi un giorno “lui” e il giorno dopo “lei”, per poi tornare il giorno dopo ancora a essere “lui”, oppure “lui” e “lei” allo stesso tempo.
Massì, bisogna guardare avanti, le categorie “maschio” e “femmina” sono roba desueta che appartiene al secolo scorso e al Secondo Millennio. Ora va di moda l’indifferentismo sessuale: essere tutti e nessuno e sempre in mutamento. E questa, così ci dicono, non è mica manipolazione di giovani menti, non è plagio e lavaggio del cervello in nome di un’ideologia che vuole rieducare le nuove generazioni, ma no; è insegnamento e superamento delle differenze, è democrazia, signori.
Ora capiamo bene come la dittatura gender sia riuscita a infiltrarsi nella nostra società e a farsi accettare come avanguardia di progresso. È la stessa cosa successa qualche decennio fa ai tedeschi plagiati dai nazisti: uno dice, troppo esagerato come paragone. E invece no, a fare il confronto tra i due metodi è stato proprio Papa Francesco che in una risposta ai giornalisti – ovviamente occultata dai grandi media – ha accostato l’ideologia gender nelle scuole alla propaganda che indottrinava la gioventù hitleriana. Lo ha detto Papa Francesco, lo stesso di “Chi sono io per giudicare un gay?”. Proprio lui.
E ci ha visto lungo. Perché il segreto delle tirannie del pensiero, che di primo acchito sembrano a tutti folli e poi riescono a farsi accettare in modo inspiegabile da comunità vastissime, è l’uso sapiente della comunicazione che finisce per presentare il Male come Bene, lo scempio come educazione, le pratiche più discutibili come forme di accoglienza del diverso. È l’edulcorazione pericolosissima del linguaggio, che manipola le nostre menti e i nostri cuori e si inocula nelle nostre coscienze in modo omeopatico, a piccole dosi. Cosicché alla fine ce ne ritroviamo contagiati, senza essercene neppure accorti.
Dobbiamo stare attenti, molto attenti, allora. E dobbiamo conservare, nell’estrema Tebaide della nostra coscienza, la forza di distinguere il letame dai diamanti, e il coraggio di chiamare le cose con il loro nome e di dire, anzi di gridare, senza alcun perbenismo, che questa pratica di far travestire i bimbi da bambine e viceversa, e di far credere loro che non esistano due sessi ma cinquantasei e che non siamo fatti così per sempre, ma ognuno può diventare ciò che vuole solo perché gli pare, ebbene questa pratica è quanto di più lontano da ciò che una scuola, uno Stato e una comunità civile dovrebbero fare.
Ribelliamoci allora al sindaco di Trieste che ha promosso e avallato l’iniziativa, e a tutte le maestre che, tra ignoranza e colpevolezza, l’hanno portata avanti. Rispondiamo, boicottando il gioco del rispetto. E chiedendo un’educazione che tenga conto di un altro principio fondamentale: il rispetto della persona umana. Che viene prima del rispetto della diversità e prima ancora del rispetto delle idee (più o meno folli) che ci vorrebbero propinare.
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