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L'ipocrisia del culto dei morti all'interno di una società che non rispetta neanche i vivi.


Ci sono due punti fissi che accomunano tutti gli esseri viventi: il primo è la nascita, che si colloca nelle prime fasi dell'esistenza, ed il secondo è la morte, posta a conclusione della parabola della vita.


Possiamo affermare di essere polvere di stelle che ha acquisito la consapevolezza della propria esistenza per mezzo di un'azione sintropica, anche se questa stupefacente capacità durerà solamente per un lasso di tempo limitato, ovvero fin quando la ribellione al disordine che consente la vita cesserà a causa dei colpi letali sferrati dal secondo principio della termodinamica. 


Con la morte perderemo la consapevolezza della nostra esistenza tornando ed essere polvere di stelle, ma l'informazione della nostra esistenza continuerà a propagarsi, e il nostro ricordo vivrà, perlomeno fin quando altri esseri umani avranno memoria delle nostre gesta o del nostro pensiero.

Quando gli artisti creano opere d'arte, i pensatori scrivono libri ed i matematici dimostrano teoremi, è come se ambissero all'immortalità per mezzo del ricordo degli esseri umani che avranno modo di vivere sulla Terra.

Il concetto di morte non è soltanto una spinta creativa esercitata in virtù della conquista di un surrogato dell'immortalità terrena, ma è anche dolore e sofferenza per chi sopravvive alla perdita dei propri cari.

In ogni società si sono sviluppate forme di culto relative alle persone che non ci sono più.

Noi occidentali le immaginiamo ancora vive, in un certo senso, in una sorta di paradiso metafisico ed illusorio.

I sentimenti di affetto e amore che contraddistinguono gli esseri umani, uniti alla paura di sparire nel nulla, contribuiscono alla manifestazione di questo fenomeno sociale. 


Siamo abituati fin da piccoli a partecipare ai riti funebri organizzati dagli stregoni della Chiesa Cattolica e dedichiamo un giorno all'anno, il 2 novembre, alla commemorazione dei defunti. 

Eppure ci ricordiamo veramente del valore del tempo della vita solo quando esso svanisce; riconosciamo l'importanza del rispetto della morte, ma tendiamo ad ignorare il rispetto della vita.



E' questa una delle più grandi ipocrisie della nostra società, che si ferma per commemorare i morti, dedicandogli addirittura una festività, quando magari quelle stesse persone da vive venivano sfruttate giorno dopo giorno all'interno delle fabbriche, ignorate quando avevano bisogno d'affetto o lasciate affogare nella disperazione dovuta alla disoccupazione e alla povertà.


Pratichiamo il culto dei morti, quando invece avremmo un disperato bisogno di adottare il culto dei vivi.


Bisognerebbe festeggiare la vita tutti i giorni, iniziando a trattare le persone come esseri umani quando ancora sono in vita e i gesti nei loro confronti possono acquisire un reale significato. 


E invece, tra una commemorazione e l'altra, il nostro prezioso tempo scorre via veloce come sabbia nelle mani.

Sprechiamo la nostra unica esistenza assecondando le esigenze di un sistema economico malato di profitto, annegando tra mille impegni e false preoccupazioni. 


Conduciamo una vita meccanica e inconsapevole, costretti a svolgere le stesse mansioni, giorno dopo giorno, pur di sopravvivere, fin quando le nostre condizioni di salute non ci permetteranno più di essere considerati produttivi e allora verremo lasciati morire ai margini della società.

Ci sono persone che hanno raggiunto i cento anni senza aver vissuto un solo giorno, perché non hanno saputo cogliere l'occasione della vita.


Per quanto ne sappiamo, abbiamo a disposizione solo questa esistenza; allora l'impegno comune dovrebbe essere di viverla al meglio, collaborando per creare una società che assicuri libertà, benessere e felicità per tutti. 

Invece, che cosa stiamo facendo? Abbiamo realizzato una società che è il riflesso della stupidità, dell'egoismo e dell'avidità, alimentando noi stessi quotidianamente i meccanismi di quella che potrebbe essere definita una follia sociale.


Legittimiamo lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e di ogni altra forma d'ingiustizia; avalliamo la fame e la povertà; contribuiamo all'inquinamento ambientale ed al malessere degli altri membri del regno animale. 


Tolleriamo una società che non ci procura benessere e felicità, ma dolore e sofferenza, e per fuggire da questa dura realtà ricorriamo a vizi, abusi e dipendenze, peggiorando ulteriormente la nostra esistenza. 


Ci accontentiamo delle magre consolazioni che il potere ci concede per evitare la ribellione. Alcuni arrivano addirittura a ringraziare i propri sfruttatori, lodando il loro padrone invece di combatterlo.


Altre volte c'illudiamo dell'esistenza d'un paradiso ultraterreno e di un dio onnipotente in grado di donarci l'immortalità, non ora, ma dopo la morte, proprio quando la nostra vita svanirà. 


Barattiamo la certezza del tempo della vita su questa Terra con l'illusione d'un benessere ultraterreno, che purtroppo non arriverà.


Eppure abbiamo già la nostra occasione di condurre una bellissima esistenza, solo che la stiamo sprecando, perché non abbiamo più neanche il coraggio di ripensare la società.

Mirco Mariucci

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