Ciò per cui oggi falsamente si blatera (per lusingare gli animi e cullare il sonno alle teste vuote), è la necessità di un rinnovamento del sistema occupazionale basato su una certa etica del lavoro.
Punto primo, l’introduzione di un regime meritocratico. Il che, per l’appunto, se mai si realizzasse (e non è chiaro quali siano le coordinate del/di merito), sarebbe nient’altro che un nuovo regime, peggiore dell’attuale.
L’unico criterio di scelta attuabile in luogo della raccomandazione, in un sistema produttivo tecnocratico governato ai vertici da potentati monetari e finanziari, sarebbe la totale sottomissione ai dettami produttivi. Chi osasse avanzare dubbi, rivendicare qualcosa o semplicemente biasimare il sistema, non meriterebbe la calda accoglienza in seno agli addendi di questa sommatoria, non sarebbe degno di tanta grazia benefattrice.
Ma questo non è che un punto irrisorio, una variante della questione.
Il problema è chiedersi perché questi infeltriti cadaveri che sgambettano in preda al mito del benessere lavorativo, degli scatti in carriera, plaudano all’inasprirsi di un regime sotto le cui ronde boccheggiano e marciscono da secoli. Perché si sentano entusiasti e lusingati dalle prospettive di una carriera basata sull’obbedienza, sulla dedizione, sullo straordinario, abbacinati dalla prospettiva di una cena col capo o da qualche centesimo in busta paga.
L’uomo, originariamente, è altro. Il suo impiego coatto e quotidiano (pena la fame) nella catena di montaggio è una mostruosità che andrebbe perseguita con la galera.
Ogni singolo minuto della mia vita buttato al servizio di qualcuno dovrebbe valere, male che vada, alcuni miliardi, indipendentemente dalla mansione svolta. L’uomo dovrebbe avere la possibilità di poter vivere dignitosamente senza lavorare, perlomeno nel senso canonico del termine. Se lo vuole, dovrebbe poter affrontare un qualunque tipo di attività anche se non immediatamente valutabile in termini produttivi e dunque remunerativi. Dovrebbe avere la possibilità di dedicarsi ad una qualche forma d’arte o studio o ricerca senza per questo patire la fame.
Il lavoro canonicamente inteso deve rimanere una mera vocazione personale; non una necessità vitale.
La gente arriva ad osannare il proprio impiego quotidiano menando vanto del monte ore accumulato. Deride e discrimina chi vorrebbe sottrarsi alla tirannia della mercificazione umana bollandolo come scansafatiche. È talmente convinta che il lavoro sia la vita e che quest’ultima vada guadagnata e vissuta lavorando che difficilmente potrà considerare il detrattore qualcosa di più di in parassita. Ignora totalmente che in realtà la schiavitù del lavoro è funzionale agli unici veri parassiti in cima alla piramide. Ignora che questo sistema è semplicemente il peggiore, non l’unico, e che viene mantenuto sano (cioè malato) per scopi ben precisi.
Tutto ciò è talmente incredibile da creare, personalmente, sentimenti contrapposti: rabbia pena biasimo disgusto ironia…
La gente è talmente imbevuta di siero pubblicitario informativo e propagandistico da non essere minimamente sfiorata dal dubbio. E se lo è, il dubbio in causa è un sottoprodotto consentito e ugualmente manipolato dalla stessa propaganda, fisiologicamente vitale per il sistema medesimo. Un simile dubbio sarà sempre e comunque volto nella direzione sbagliata. Sarà sempre un tassello illusorio dello stesso mosaico che persuade le menti circa una presunta libertà di critica e di pensiero.
E, come disse Goethe, “non c’è peggior schiavo di colui che è falsamente convinto di essere libero”.
Come se non bastasse questo processo si fonda (ed è possibile) grazie ad ulteriori aberrazioni secolarizzate. Alcune ataviche stratificazioni mentali (che in qualche modo preordinano e bendispongono quello che Jung chiamerebbe inconscio collettivo) consentono questa nemesi ingannatrice: tradizione folclore superstizione religioni dogmi autorità politica e quant’altro.
Pertanto non si tratta di vivere in una illusione globale (metafisicamente intesa); o perlomeno non è di questo che ora si vuol trattare.
Qui è bene comprendere, o almeno scorgere, la portata globale dell’inganno cui più o meno consapevolmente (ma sempre colpevolmente) si soggiace.
Osserva Plotino nelle Enneadi:
Come sulle scene del teatro, così dobbiamo contemplare anche nella vita le stragi, le morti, la conquista e il saccheggio delle città come fossero tutti cambiamenti di scena e di costume, lamenti e gemiti teatrali. (…) Tali sono le azioni dell’uomo che sa vivere soltanto una vita inferiore ed esteriore e non sa che le sue lacrime e i suoi affanni sono un puro gioco. (…) Ma coloro che non conoscono ciò che è serio prendono sul serio i loro giochi e sono giocattoli essi stessi.
Oggigiorno, oltre allo squallore esistenziale dell’uomo medio incapace di sentire intuire meditare un suo valore potenziale, c’è lo squallore del gioco perverso nel gioco. Nella maestria del gioco ordinario della vita e nell’illusione dei suoi dettami, un altro inganno si cela, ben più vile e mediocre del primo. E non è quello cui allude Plotino. Non è quello indagato da Schopenhauer.
Semplicemente non è ordito dalla natura.
Non si è più giocattoli di un gioco universale; ma rottami di un grande giocattolo assemblato da vili giocattolai.
Le menti, perverse e pervertite ad un tempo (dal sistema nel sistema per il sistema), sono arrivate a considerare il lavoro un dovere, un dono, una nobilitazione, una fortuna, una grazia. Il lavoro, la ricerca spasmodica del posto di lavoro, dell’impiego umano sotto il mito del successo e del benessere, è divenuta dogma.
Domanda: riuscirete minimamente, dimenandovi tra turiboli e anestetici, a considerare (non dico scalfire) l’immonda infamia che nel tempo è riuscita a persuadervi di tutto ciò sino a farne oggetto di fede e di culto?
Non posso essere ottimista. Altri dogmi, da milleni, finanche più assurdi e incredibili di questo, permangono in ottima salute. Anzi: il tempo sembra addirittura consolidarli (in grazia del potere che si lascia consolidare nei secoli tra le mani di chi può trarne vantaggio).
La gente deve essere impiegata, il tempo della tua unica vita deve essere spremuto in una occupazione che distolga dal pensare, dal domandare, dal ritrovarsi, dal rendersi conto che in quanto uomo si è potenziali capolavori e che l’infame coercizione al sudore per la sopravvivenza, per sbocconcellare appena, costituisce l’esatta negazione di quella meraviglia potenziale.
Ed è necessario far credere che quel sudore sia un privilegio che nobiliti la natura umana, che faccia fronte ad esigenze proprie, utili a se stesso, alla famiglia, alla convivenza sociale.
Non si sciopera sacrosantamente in massa per rivendicare il diritto umano a vivere senza lavorare. Si sciopera quando non si ha occupazione, sottomissione. Se non si è bestie da soma si reclama il giogo.
“Il lavoro nobilita l’uomo”… Questo è stato ripetuto, incessantemente. Mentre non può che ottunderlo e debilitarlo.
L’uomo, dovendo scegliere, è molto più vicino alla cicala che alla formica. Quella favola non è una innocente storiella volta a responsabilizzare il bambino sin dalla culla; non nel senso in cui si crede. Semplicemente è volta ad irreggimentarlo.
La scuola non è altro che un campo di concentramento didattico in cui si irreggimentano futuri automi e cadaveri. Sempre più non a caso si parla di scuola e proposte formative per il mondo del lavoro. Le scuole, le università, ti portano in gita nelle fabbriche, nelle multinazionali… Cercano subito di inserirti e inquadrarti nel mondo antietico e seriale del montaggio, del marketing e della predazione continua.
E intanto il mondo produce il triplo rispetto alla domanda. Ma bisogna ancora lavorare produrre indebitare… non distribuire e godere delle immense ricchezze senza dilaniare il pianeta. Tra disboscamenti di proporzioni inaudite, sfruttamenti intensivi del territorio, avvelenamenti derivanti da putrescenti industrie zootecniche, il 70% della produzione mondiale di cereali serve ad ingrassare le carni medicalizzate di ovini e bovini che a loro volta marciranno tra le carni medicalizzate e intossicate di tanti bipedi onnivori. La metà di quella percentuale basterebbe a scongiurare la fame nel mondo.
Si lavora per sottostare al peggiore regime schiavistico monetario mai concepito, in favore (volendo risalire ai vertici) di pochi banchieri settari.
Miliardi di persone lavorano per accentrare ogni potere nelle mani di costoro mantenendo le famiglie degli stessi nel lusso più sfrenato e perpetuando ogni loro privilegio e potere di generazione in generazione.
Migliaia di persone chiedono soldi a questi signori indebitandosi sino al collo per della carta inesistente, creata dal nulla, impegnando finanche il sudore dei padri affinché, con una nuova vita di fatiche e sudori restituiscano pezzi di carta (questa volta reali giacché intrisi di martirio personale) a chi non elargì nulla, e, soprattutto, nulla di proprio.
Ma la gratitudine, per essere veramente tale, non potrà prescindere dal corrispondere, sotto forma di interessi, qualcosa in più rispetto al nulla elargito. E se mai si volesse essere talmente sconsiderati da negare quella gratitudine, la Giustizia interverrebbe nel rendere l’inadempiente perseguibile ai sensi di legge.
Beni e immobili acquisiti con decenni di duro lavoro (preventivamente ipotecati da solerti banchieri in grembiule e compasso), magari di famiglia da generazioni e con un inestimabile valore affettivo di fondo, andranno pianificatamente ad ingrassare l’ingente patrimonio reale di certi gloriosi “Cartelli“.
In più è giusto che il reddito proveniente dalla schiavitù sia ragguardevolmente tassato. E non per quei pochi penosi servizi che lo stato concede in contropartita; ma per pagare gli interssi sul debito eterno, inestinguibile, costituito da carta straccia.
In sostanza si tratta di drenare risorse al cittadino durante tutto l’arco della sua squallida vita lavorativa per restituire denaro ai banchieri centrali sovranazionali, consentendo così la perpetuazione di una truffa mondiale basata sul debito. Il tutto sotto la tacita connivenza dei governi e dei loro rappresentanti, semplici camerieri e burattini del sistema, veri e propri esattori in nome e per conto dei grassi paperoni internazionali.
Non a caso Thomas Jefferson ebbe a dire: “Credo sinceramente che le istituzioni bancarie col potere di creare ed emettere moneta siano più pericolose per la libertà che eserciti in armi”. Senza mezzi termini invece Henry Kissinger: “Chi controlla il denaro controlla il mondo”.
A chi dunque impone di elemosinare prestiti ed ha la benevolenza di concederli nominalmente affinché si abbia l’onore di lavorare dovendo un domani ricambiare col denaro e la vita qualcosa in più del nulla dato, sii grato ed obbediente: è per te che stai lavorando! L’impiego è la tua vera natura, il senso ultimo della tua esistenza, l’intima elevazione mentale e spirituale cui l’uomo può ambire.
Se non ci credi basta che ascolti chi dal pulpito rappresenta i tuoi interessi, chi predica e combatte ogni giorno per la tua dignità e realizzazione.
Forse il tuo Presidente della Repubblica non esorta ogni giorno in tal senso? Non conferma essere la dignità primariamente nel lavoro? Non lo hanno per questo scritto e sancito nel primo articolo della Sacra Costituzione? Non lo ripete forse anche il Sommo Pontefice dall’umile Loggia ecclesia in S. Pietro?
Non vorrai certo mettere in dubbio la parola di due infaticabili lavoratori o addirittura quella di Dio sceso in terra!? O vorresti che i banchieri di Dio cessassero il riciclo di capitali provenienti da traffico d’armi droga e malavita?
Il Signoraggio è il Signore Dio tuo.
Ormai non si tratta più di scoprire che la democrazia è una finzione, un lugubre gioco di facciata. Nemmeno si tratta di biasimare l’egemonica tirannia delle plebi. Sono le plebi ad essere, sia pure colpevolmente e vocazionalmente, tiranneggiate. I cenacoli politici non sono che un medium tra le plebi e l’elite, un diversivo che scongiuri lo svelamento. Elezioni, candidature, partecipazioni alla vita pubblica, referendum… tutto si risolve in belletto, maquillage d’accatto.
Corporazioni, banche ed alta finanza. Questo è ciò che si nasconde dietro le quinte della cronaca e della storia ufficiale. Ma la storia non solo è da riscrivere: è da cancellare. Esimi studiosi ancora brancolano nel buio. Ottusi accademici ancora emendano e revisionano storielle all’interno del medesimo inganno, concedendo varianti al loro sonno.
Banche centrali, Banca mondiale, Onu, Council on Foreign Relations, Nato, Commissioni Trilaterali, Bilderberg Group, FMI, OMS, Fratellanze…
Oramai non esistono più nemmeno i governi.
Se dunque devi essere occupato per raggiungere il tuo scopo, perché interrogarti? Hanno già tutte le risposte, e le offrono senza che tu perda tempo a cercarle. L’essenza della bestia/uomo è nel lavoro, non nel domandare. È nell’identificarsi con esso, nel pensare con esso, nel misurarsi e valutarsi per esso e con esso.
Per raggiungere questo autentico grado di consonanza con il tuo essere uomo, non hai che da faticare (otto dieci anche dodici ore al giorno), almeno sei giorni su sette.
E per non distoglierti da questa illuminata consapevolezza, nell’unica giornata d’aria concessati inonda gli stadi gli altari le piazze i negozi i dopolavori… Frequenta i tuoi pari e sbadiglia insieme a loro. Tanti più sarete, tanto più lo sbadiglio diverrà contagioso.
Ma se, dopotutto, comprensibilmente, sarai stanco, resta pure a casa… senza troppo pensare, senza troppo distoglierti dal torpore necessario alla mente, al domani denso di nuove fatiche e doveri. Basta che il dito intervenga ad illuminare uno schermo dove è possibile (anzi indispensabile) mirarsi vezzeggiarsi cullarsi per poi, finalmente, dormire… ancora russare e dormire.
Un’ultima premurosa raccomandazione onde evitare che tu incorra in spiacevoli sanzioni. Non dimenticare, prima di coricarti in un misero e pignorabile loculo domestico, di caricare la sveglia sul far dell’alba.
Non, sia chiaro, per godere del suo impareggiabile magistero cromatico; ma per correre a sudare il tuo pane quotidiano.
Questo è l’unico mistero eucaristico, ed ogni giorno si rinnova: la carne (la tua carne) diventa pane; il sangue, vino.
Articolo di Antonio Perrotta
http://www.nexusedizioni.it/it/CT/il-dogma-del-lavoro-e-il-signoraggio-bancario-schiavi-per-sempre-23
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