Dal Telegraph, un articolo dello storico Alan Sked ricostruisce la spinta all’adesione della Gran Bretagna al progetto della Ue come parte di un più grande disegno, portato avanti con l’inganno da una élite, volto al superamento delle democrazie nazionali e alla costruzione di un super stato mondiale, con l’appoggio degli Stati Uniti e della Cia.
di Alan Sked
Gli elettori del referendum in Gran Bretagna devono capire che l’Unione europea sin dal primo giorno ha avuto lo scopo di costruire un superstato federale
Mentre cresce il dibattito intorno al prossimo referendum sulla UE, forse sarebbe saggio in primo luogo ricordare come la Gran Bretagna è stata portata all’adesione. Mi sembra che la maggior parte delle persone non abbia idea del perché uno dei vincitori della seconda guerra mondiale avrebbe dovuto non veder l’ora di far parte di questo “club”. Ed è un peccato, perché la risposta a questa domanda è la chiave per capire il motivo per cui l’Unione europea è andata così male.
La maggior parte degli studenti sembra avere l’idea che la Gran Bretagna fosse in difficoltà economica, e che la Comunità economica europea – come si diceva allora – sia stata il motore economico in grado di rilanciare la nostra economia. Altri sembrano credere che dopo la seconda guerra mondiale la Gran Bretagna avesse bisogno di riformulare la sua posizione geopolitica, dall’impero a una posizione più realistica al centro dell’Europa. Nessuno di questi argomenti, tuttavia, ha realmente un senso.
Quando è arrivata la crescita, questa non è arrivata dalla UE. Dalle riforme dal lato dell’offerta di Ludwig Erhard nella Germania Ovest del 1948 alla privatizzazione dell’industria pubblica della Thatcher degli anni Ottanta, la crescita europea è il risultato delle riforme introdotte da singoli paesi, che poi sono state copiate anche nel resto dell’Europa. La politica dell’Unione europea è sempre stata irrilevante, o dannosa (come è avvenuto con l’euro).
Né la crescita britannica è mai veramente rimasta indietro rispetto a quella dell’Europa. A volte ha fatto un balzo in avanti. Negli anni ’50 l’Europa occidentale aveva un tasso di crescita del 3,5 per cento; negli anni ’60, era del 4.5 per cento. Ma nel 1959, quando entrò in carica Harold Macmillan, il tasso reale di crescita annuo del PIL britannico, secondo l’Ufficio nazionale di statistica, era quasi al 6 per cento. Ed era ancora quasi al 6 per cento quando de Gaulle pose il veto alla nostra prima domanda di adesione alla CEE, nel 1963.
Nel 1973, quando siamo entrati nella CEE, il nostro tasso di crescita nazionale annuo in termini reali toccava un record del 7,4 per cento. L’attuale cancelliere darebbe la vita per cifre simili. Quindi l’argomento economico non funziona affatto.
Che dire di quello geopolitico? Quale argomento, alla fredda luce del senno di poi, avrebbe potuto essere così convincente da indurci a dare un calcio ai nostri alleati del Commonwealth della seconda guerra mondiale per partecipare a una combinazione di Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Francia, Germania e Italia?
Quattro di questi paesi non avevano nessun peso internazionale. La Germania era occupata e divisa. La Francia, nel frattempo, aveva perso una guerra coloniale in Vietnam e un’altra in Algeria. De Gaulle era giunto al potere per salvare il paese dalla guerra civile. I più realisti certamente devono aver considerato questi stati come un gruppo di perdenti. De Gaulle, che era un grande realista, sottolineava come la Gran Bretagna aveva istituzioni politiche democratiche, rapporti commerciali globali, cibo a buon mercato dal Commonwealth, ed era una potenza mondiale. Perché avrebbe dovuto voler entrare nella CEE?
La risposta è che Harold Macmillan e i suoi consiglieri più stretti erano parte di una tradizione intellettuale che vedeva la salvezza del mondo in una qualche forma di governo mondiale basato su federazioni regionali. Era anche molto vicino a Jean Monnet, che credeva nella stessa idea. Fu quindi Macmillan che diventò il rappresentante del movimento federalista europeo nel governo britannico.
In un discorso alla Camera dei Comuni si fece fautore anche di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), prima che la cosa venisse effettivamente annunciata. In seguito si adoperò perché venisse firmato un trattato di associazione tra il Regno Unito e la CECA, e fu lui a garantire che un rappresentante britannico fosse inviato ai negoziati di Bruxelles che seguirono la Conferenza di Messina, che diedero vita alla CEE.
Alla fine degli anni ’50 portò avanti dei negoziati per un Associazione europea di libero che portasse all’adesione alla CEE. Poi, quando il generale de Gaulle cominciò a trasformare la CEE in un organismo meno federalista, si assunse il rischio di presentare una domanda di adesione piena della Gran Bretagna nella speranza di frustrare le ambizioni dei Gollisti.
Il suo scopo, in alleanza con gli Stati Uniti e i sostenitori europei di un ordine mondiale federalista, era quello di vanificare l’emergente alleanza franco-tedesca, che era vista come una alleanza tra nazionalismi, francese e tedesco.
Monnet si incontrò segretamente con Heath e Macmillan in innumerevoli occasioni, allo scopo di facilitare l’ingresso britannico. Egli, infatti, era stato informato prima del Parlamento britannico dei termini in cui sarebbe stato inquadrato l’approccio britannico all’Europa.
Malgrado il parere espresso dal Lord Cancelliere, Lord Kilmuir, secondo il quale quell’adesione avrebbe significato la fine della sovranità parlamentare britannica, Macmillan trasse deliberatamente in inganno la Camera dei Comuni – e praticamente tutti gli altri, dagli statisti del Commonwealth ai colleghi di governo, e all’opinione pubblica – affermando che si trattava solo di negoziati commerciali di minore importanza. Cercò anche di ingannare de Gaulle, dandogli ad intendere di essere un anti-federalista a lui vicino, che avrebbe fatto in modo che la Francia, come la Gran Bretagna, ricevesse i missili Polaris dagli americani. De Gaulle comprese perfettamente chi aveva davanti, e pose il veto al tentativo britannico di adesione.
Macmillan lasciò che Edward Heath portasse avanti il progetto, e Heath, insieme a Douglas Hurd, fece in modo – secondo i documenti di Monnet – che il Partito Tory diventasse un membro (segreto) del Comitato d’azione di Monnet per gli Stati Uniti d’Europa.
Secondo l’assistente e biografo di Monnet, Francois Duchene, più tardi sia i Laburisti che i Liberali fecero lo stesso. Nel frattempo il conte di Gosford, uno dei ministri di politica estera di Macmillan nella Camera dei Lord, in effetti comunicò alla Camera che l’obiettivo della politica estera del governo era il governo mondiale.
Il Comitato d’azione di Monnet ottenne anche sostegno finanziario da parte della CIA e del Dipartimento di Stato americano. L’istituzione anglo-americana era coinvolta nella creazione degli Stati Uniti d’Europa di tipo federale.
Oggi, è ancora così. Potenti lobby internazionali sono già al lavoro per cercar di dimostrare che il ritorno all’autogoverno democratico da parte della Gran Bretagna significherebbe la morte. I funzionari americani sono stati già istruiti per affermare che la Gran Bretagna sarebbe esclusa da qualsiasi accordo di libero scambio con gli Stati Uniti e che il mondo ha bisogno del trattato TTIP sul commercio, su cui si basa la sopravvivenza della UE.
Fortunatamente, i candidati repubblicani negli Stati Uniti stanno diventando euroscettici e riviste come The National Interest pubblicano argomenti a favore del Brexit. La coalizione internazionale che sta dietro a Macmillan e Heath questa volta si troverà davanti a una situazione molto più difficile – soprattutto in considerazione delle evidenti difficoltà della zona euro, del fallimento della politica migratoria dell’UE e della mancanza di qualsiasi politica di sicurezza coerente.
Ancora più importante, essendo già stato ingannato una volta, sarà molto più difficile ingannare di nuovo il pubblico britannico.
Alan Sked è il primo fondatore di Ukip e docente di Storia internazionale presso la London School of Economics. Attualmente sta raccogliendo materiale per un libro di prossima pubblicazione sull’esperienza della Gran Bretagna all’interno della Ue.
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