di Lirio Abbate - Dentro, in una confezione termica, alcuni cubetti di ghiaccio molto speciali: contengono uno dei virus dell’aviaria, l’epidemia che dieci anni fa ha scatenato il panico in tutto il pianeta. Quando il postino lo consegna, il destinatario è assente: è il manager italiano di una grande azienda veterinaria. La moglie lo chiama al telefono: «Cosa devo farci?». «Mettilo subito nel congelatore». Sembra il copione di un film apocalittico, con la malattia trasmessa da continente a continente scavalcando tutti i controlli. Invece è uno degli episodi choc descritti in un’inchiesta top secret della procura di Roma sul traffico internazionale di virus, scambiati da ricercatori senza scrupoli e dirigenti di industrie farmaceutiche: tutti pronti ad accumulare soldi e fama grazie alla paura delle epidemie. Questa indagine svela il retroscena dell’emergenza sanitaria provocata dall’aviaria in Italia. E si scopre che i ceppi delle malattie più contagiose per gli animali e, in alcuni casi, persino per gli uomini viaggiano da un Paese all’altro, senza precauzioni e senza autorizzazioni. Esistono trafficanti disposti a pagare decine e decine di migliaia di euro pur di impadronirsi degli agenti patogeni: averli prima permette di sviluppare i vaccini battendo la concorrenza.
IL CASO 230 MILIONI SPESI PER MEDICINE TENUTE IN CANTINA
L’indagine è stata aperta dalle autorità americane e poi portata avanti dai carabinieri del Nas. Perché l’Italia sembra essere uno snodo fondamentale del traffico di virus. Al centro c’è un groviglio di interessi dai confini molto confusi tra le aziende che producono medicinali e le istituzioni pubbliche che dovrebbero sperimentarle e certificarle. Con un sospetto, messo nero su bianco dagli investigatori dell’Arma: emerge un business delle epidemie che segue una cinica strategia commerciale. Amplifica il pericolo di diffusione e i rischi per l’uomo, spingendo le autorità sanitarie ad adottare provvedimenti d’urgenza. Che si trasformano in un affare da centinaia di milioni di euro per le industrie, sia per proteggere la popolazione che per difendere gli allevamenti di bestiame. In un caso, ipotizzano perfino che la diffusione del virus tra il pollame del Nord Italia sia stata direttamente legata alle attività illecite di alcuni manager.
INDAGINI MADE IN USA. Il traffico di virus è stato scoperto dalla Homeland Security, il ministero creato dopo le Torri Gemelle per stroncare nuovi attacchi agli Stati Uniti. Nel loro mirino è finita un’attività ad alto rischio: l’importazione negli States di virus dall’Arabia Saudita per elaborare farmaci, poi riesportati nel Paese arabo. Il presidente e tre vice presidenti della compagnia farmaceutica incriminata per l’operazione sono stati condannati a pene pesanti. Fondamentale per l’indagine è la testimonianza di Paolo Candoli, manager italiano della Merial, la branca veterinaria del colosso Sanofi: l’uomo ha patteggiato l’immunità in cambio delle rivelazioni sul contrabbando batteriologico. Ai detective ha descritto come nell’aprile 1999 si fece spedire illegalmente a casa in Italia un ceppo dell’aviaria tramite un corriere Dhl. A procurarlo era stato il veterinario statunitense di un allevamento di polli saudita, condannato negli Usa a 9 mesi di prigione e 3 anni di libertà vigilata per “cospirazione in contrabbando di virus”. Chiusi i processi, nel 2005 l’Homeland Security ha trasmesso i verbali di Candoli ai carabinieri del Nas. Gli investigatori sin dai primi accertamenti si rendono conto di avere davanti uno scenario da incubo. Infatti, sottolineano i carabinieri, l’arrivo del virus in casa Candoli coincide con l’insorgenza nel Nord Italia, a partire proprio dal 1999, della più grossa epidemia da virus H7N3 di influenza aviaria sviluppatasi negli allevamenti in Italia e in Europa. Già all’epoca le indagini condotte dal Nas di Bologna avevano evidenziato l’esistenza di una organizzazione criminale dedita al traffico di virus ed alla produzione clandestina di vaccini proprio del tipo H7: antidoti che in quel momento venivano somministrati clandestinamente ai polli degli stabilimenti italiani.
RELAZIONI ECCELLENTI. L’inchiesta dell’Arma si allarga in poche settimane, seguendo le intercettazioni disposte dai magistrati di Roma. Candoli nella capitale sa come muoversi: sponsorizza convegni medici organizzati da professori universitari, regala viaggi e distribuisce consulenze ben pagate e questo gli permette di avere “corsie preferenziali” al ministero della Salute per ottenere autorizzazioni, riesce a far cambiare parere alla commissione consultiva del farmaco veterinario per mettere in commercio prodotti della Merial. Tra i suoi referenti più stretti c’è Ilaria Capua, virologa di fama internazionale, attualmente deputato di Scelta Civica e vice presidente della Commissione Cultura alla Camera. È nota per i suoi studi sul virus dell’influenza aviaria umana H5N1: la rivista “Scientific American” l’ha inserita tra i 50 scienziati più importanti al mondo, “l’Economist” due anni fa l’ha inclusa tra i personaggi più influenti del pianeta. Fino all’elezione alla Camera, era responsabile del Dipartimento di scienze biomediche comparate dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale (Izs) delle Venezie con sede a Padova. E con lei anche altri suoi colleghi della struttura veneta sono finiti nel registro degli indagati.
Il risultato degli accertamenti del Nas ha portato il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, a ipotizzare reati gravissimi. La Capua e alcuni funzionari dell’Izs sono stati iscritti nel registro degli indagati per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, all’abuso di ufficio e inoltre per il traffico illecito di virus. Stessa contestazione per tre manager della Merial.
Secondo le conclusioni dei carabinieri, l’azione di Ilaria Capua con la complicità di altri funzionari dell’istituto di Padova avrebbe contribuito a creare un cartello fra due società, la Merial e la Fort Dodge Animal, escludendo le altre concorrenti, nella vendita di vaccini veterinari per l’influenza aviaria. Il marito della Capua, Richard John William Currie, lavorava alla Fort Dodge Animal di Aprilia, attiva nella produzione veterinaria. Anche Currie è indagato insieme ad altre 38 persone. Nell’elenco ci sono tre scienziati al vertice dell’Izs di Padova (Igino Andrighetto, Stefano Marangon e Giovanni Cattoli); funzionari e direttori generali del mistero della Salute (Gaetana Ferri, Romano Marabelli, Virgilio Donini ed Ugo Vincenzo Santucci); alcuni componenti della commissione consultiva del farmaco veterinario (Gandolfo Barbarino, della Regione Piemonte, Alfredo Caprioli dell’Istituto superiore di sanità, Francesco Maria Cancellotti, direttore generale dell’istituto zooprofilattico di Lazio e Toscana, Giorgio Poli della facoltà di Veterinaria dell’università di Milano, Santino Prosperi dell’università di Bologna); coinvolta anche Rita Pasquarelli, direttore generale dell’Unione nazionale avicoltura. I fatti risalgono a sette anni fa ma molti degli indagati lavorano ancora nello stesso istituto.
CONTRABBANDIERI. Il capitolo più inquietante è quello del traffico di virus, fatti entrare in Italia nei modi più diversi e illegali. Le intercettazioni telefoniche dei Nas di Bologna e Roma sono definite allarmanti: secondo gli investigatori c’è stato il serio rischio di diffondere le epidemie. Oltre ai plichi consegnati a domicilio con il virus congelato in cubetti di ghiaccio, c’erano altri sistemi di contrabbando. Candoli ne parla con alcuni colleghi della Merial di Noventa Padovana. Fra i metodi per importare in Italia agenti patogeni, c’era anche quello di nascondere le provette fra i capi di abbigliamento sistemati in valigia: in questo modo, spiegano, «sembrano i kit del piccolo chimico» e non destano sospetti in caso di controlli. Il manager rivela inoltre che i virus non sono stati fatti entrare illegalmente solo in Italia, ma anche in Francia per la realizzazione di vaccini nei laboratori della Merial a Lione. «In Francia comunque non ci sono mai stati problemi per importare i ceppi», dice Candoli, e aggiunge che lì hanno fatto arrivare anche virus esotici. Un altro dirigente dell’azienda spiega al telefono: «Ascolta Paolo, noi facciamo delle cose, molto più turche nel senso di difficoltà logistica, tu sai che facciamo il Bio Pox con il Brasile per cui figurati se ci fermiamo davanti a un problema che è praticamente un terzo di quello che facciamo con i brasiliani».
Secondo gli investigatori del Nas, anche la Capua e l’Istituto Zooprofilattico sono coinvolti nel traffico illegale: la scienziata sarebbe stata pagata per fornire agenti patogeni. In una conversazione registrata è la stessa virologa a farne esplicito riferimento, sostenendo di aver ceduto ceppi virali in favore di un veterinario americano. Per i carabinieri, da alcune intercettazioni “appare evidente come il contrabbando dei ceppi virali dell’influenza aviaria, posto in essere dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, nelle persone di Ilaria Capua, Stefano Marangon e Giovanni Cattoli, con il concorso del marito della dottoressa Capua, Richard William John Currie, costituisca di fatto un serio e concreto pericolo per la salute pubblica per il mancato rispetto delle norme di biosicurezza”.
CORSA ALL’ANTIDOTO. Mettere le mani sui ceppi patogeni nel modo più rapido possibile, evitando la burocrazia sanitaria e le misure di sicurezza, è fondamentale per essere i primi a inventare e commercializzare gli antidoti. Nel caso del virus H7N3 sulla base di un’intercettazione gli inquirenti ritengono che il ceppo sia stato fornito da Ilaria Capua. Una dirigente della Merial parla con Candoli e gli dice che sarebbe stato comprato a Padova, «lo pagai profumatamente come tutti gli altri ceppi che abbiamo comprato da quella... ». Per i Nas “testimonia in maniera esplicita la condotta corruttiva di Capua”. Gli interlocutori sottolineano spesso i modi decisi della scienziata nelle questioni economiche. E lei stessa non nasconde al telefono di aver effettuato in passato consulenze che le avrebbero fruttato un guadagno giornaliero oscillante fra i mille e i millecinquecento euro. La donna racconta che quando è andata in Giappone si è fatta pagare in nero quattromila euro al giorno, tutti cash, così si è comprata il divano e l’armadio. «L’ho fatto perché, ti spiego, un consultant normale prende tipo, dai mille ai millecinquecento euro al giorno, e io più volte l’ho fatto, tipo per le mie like...» Poi spiega che si è fatta portare in giro con l’aeroplanino e di essersi fatta pagare più volte. Contattata da “l’Espresso”, Ilaria Capua conferma di conoscere Candoli, «ma di non aver mai venduto ceppi virali. Sono dipendente di un ente pubblico e non vendo nulla personalmente». E spiega: «I ceppi virali che si isolano in istiututo sono di sua proprietà e io non ho venduto nulla a nessuno».
Subito dopo la produzione del medicinale, in provincia di Verona scatta la vaccinazione d’emergenza per l’aviaria: il ministero della Sanità autorizza proprio la Merial a fornire i farmaci. Gli investigatori fanno notare che pochi mesi prima, quando erano comparsi i focolai di un virus del tipo H7N1 negli allevamenti di polli di Lombardia e Veneto, il ministero aveva bloccato un’altra ditta, perché fabbricava il farmaco all’estero e non aveva spiegato l’origine del ceppo. Invece nessuno fa storie alla Merial, “nonostante questa avesse prodotto il vaccino in laboratori a Lione”.
IL BREVETTO D’ORO. La Capua e i colleghi Marangon e Cattoli, lavorando all’Izs delle Venezie scoprono un sistema che permette di individuare gli animali infetti. È un risultato molto importante, che diventa la strategia di riferimento della Fao e dell’Unione Europea per contrastare l’influenza, che dopo i volatili sembra minacciare anche gli umani. Lo chiamano Diva e ne registrano il brevetto. Le intercettazioni rivelano che firmano un contratto di esclusiva per cederlo a Merial e Fort Dodge. Secondo la ricostruzione degli investigatori, intorno a Diva la Capua e i suoi partners riescono a costruire grandi affari, chiudendo accordi internazionali, compresi quelli con i governi di Romania e Olanda. Questo è un capitolo controverso dell’indagine. Per gli inquirenti i tre scienziati sono funzionari pubblici perché dipendenti dell’Istituto zooprofilattico e quindi stipulare un contratto con Merial “appare del tutto indebita”, come “indebita appare la registrazione del brevetto”, perché il kit per il test Diva è stato realizzato “nell’ambito di un’attività istituzionale”. Il contratto con le due aziende viene considerato “del tutto illecito e contrario ai doveri di ufficio”: il 70 per cento delle royalties andrà, attraverso lo Zooprofilattico di Padova, ai tre funzionari, mentre solo il 30 rimarrà all’Istituto. Inoltre la stipula del contratto tra le due aziende e l’Izs, con la cessione di tutti i diritti sul brevetto, per gli investigatori costituisce una sorta di cartello che taglia fuori le altre ditte farmaceutiche. Dice la virologa al suo avvocato: «Se il brevetto viene concesso, alle altre ditte, scusa la volgarità che non si confà a una signora, tanto più citata dal Sole24Ore, gli facciamo un culo che non la smette più». Adesso a “l’Espresso” spiega: «Abbiamo ceduto all’Istituto i diritti di sfruttamento del brevetto Diva e per questo, i tre inventori ad oggi non hanno mai preso alcuna somma di denaro. Le royalties sono negoziate dall’Istituto».
Il giro d’affari che scaturisce da Diva è così forte che, come rivelano le conversazioni intercettate, spinge il marito della Capua a dedicarsi a tempo pieno a questa nuova attività, che chiamano “The Company”: l’uomo conclude affari in tutto il mondo, meritandosi il soprannome di “globale” e rappresenterebbe l’anello di congiunzione tra la struttura pubblica veneta e le aziende farmaceutiche. Capua in una conversazione con Marangon sostiene che Richard gli ha detto di scrivere che «hanno la disponibilità di un baculo virus N1 italiano, mentre quello asiatico lo stanno “cloney”» ossia clonando ed appena sarà disponibile glielo daranno. Marangon replica: «Ma va bene, 50 mila per due, gli diamo il coso e buona notte al secchio». È una «svolta affaristico-commerciale»: «Ho parlato dell’affare con i romeni a Richard, il quale si è eccitato come una scimmia. Quando ha saputo che l’ordine era da un milione e 300 mila euro gli è venuta una mezza paralisi e ha detto che adesso svilupperà un business plan». L’emergenza aviaria avanza nei continenti, la paura passa dalle aziende di polli alla salute delle persone. E per la “Company” i contratti si moltiplicano. Marangon sembra preoccupato, dice che bisogna usare prudenza, lasciando intendere che “vi siano tra l’altro accordi paralleli e non ufficiali con alcuni personaggi delle autorità sanitarie romene”. Di questo sembra essere convinta anche Capua, che comunque vede un mercato in espansione «finché esiste gente come i romeni». La virologa afferma che ai romeni può essere data qualunque cosa: il timore dell’epidemia sta creando un mercato nuovo dove alcuni paesi come Romania, Turchia o stati del Medio Oriente e dell’Africa devono trovare a tutti i costi sistemi per contenere il rischio di contagio. E la struttura di Padova diretta dalla Capua ha le credenziali migliori: coordina progetti di ricerca finanziati dal ministero della Salute, dalla Ue e da altri organismi internazionali come la Fao.
L’AFFARE DELLA PANEMIA. Uno dei capitoli più inquietanti dell’inchiesta condotta dai Nas ricostruisce la diffusione dell’allarme sul pericolo di contagio umano per l’aviaria nella primavera 2005. Gli inquirenti hanno esaminato i documenti ufficiali e le iniziative delle aziende, sostenendo che l’emergenza «sia stata un problema più mediatico che reale». Dietro il paventato rischio di epidemia per il virus H5N1 – scrivono i carabinieri – si potrebbe celare una “strategia globale” ispirata dalle multinazionali che producono i farmaci. Nel dossier investigativo vagliano il ruolo dell’Organizzazione mondiale della sanità, la massima autorità del settore, che in un documento del 2004 raccomandava di fare scorte di Oseltamvir (Tamiflu) prodotto dalla Roche. Dopo un anno anche in Italia cominciano a venire pubblicati articoli sull’epidemia in arrivo, “inevitabile ed imminente”. Si consiglia il vaccino per proteggersi comunque dall’influenza stagionale e l’uso di farmaci antivirali, incluso il Tamiflu, contro l’aviaria: in poco tempo le vendite del prodotto Roche aumentano del 263 per cento. Molte delle informazioni allarmistiche – sostengono i carabinieri – sono emerse da un convegno tenuto a Malta nel settembre 2005, sponsorizzato dalle aziende che confezionano vaccini contro l’influenza e farmaci antivirali.
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