Ho avuto occasione di incontrare il candidato di Renzi al Quirinale, Sergio Mattarella, quando questi era ministro della Difesa del governo Amato. Chiedo
scusa per la lunghezza del post, ma lo devo a tanti ragazzi che non potranno mai leggerlo. Lavoravo da qualche mese sulla vicenda dell’Uranio Impoverito e sull’impressionante numero di leucemie linfoblastiche acute e linfomi tra i nostri militari che erano o erano stati in missione nei Balcani, soprattutto in Bosnia, ma non solo.*
Sergio Mattarella negò a più riprese il possibile nesso tra l’insorgere delle patologie e il servizio. Negò che la Nato avesse mai utilizzato proiettili all’uranio impoverito (DU, Depleted Uranium), tantomeno che questo fosse contenuto nei Tomahawk (missili) sparati in zona di guerra dalle navi Usa in Adriatico. Insomma, Mattarella, candidato di Renzi al Quirinale, negò su tutta la linea.
Negò pure ciò che era possibile reperire nei primi giorni di internet sugli stessi siti della Difesa Usa, che magnificava l’efficacia degli armamenti al DU e dettava, contestualmente, le precauzioni sanitarie da adottare in caso di bonifica: protocolli di sicurezza molto rigidi, che prevedevano l’utilizzo di tute, guanti e maschere protettive, per svolgere il lavoro che invece a mani nude e senza protezioni facevano i nostri soldiati. I quali, nel frattempo, continuavano ad ammalarsi e morire. Ero a Nuxis, in Sardegna, al funerale di caporal maggiore della Brigata Sassari Salvatore Vacca, riconosciuto poi come il primo morto di Uranio Impoverito, che aveva prestato servizio alla caserma Tito Barak di Sarajevo.
Ero il solo giornalista presente, il 9 settembre 1999. Tutta questa triste storia incominciò da quel funerale. Pensai che l’argomento DU dovesse interessare a un ministro della Difesa, dal momento che quei ragazzi in divisa oltre che “nostri” erano soprattutto suoi, ma evidentemente ero troppo ingenuo. Per i principali quotidiani e le televisioni il problema dell’Uranio Impoverito non esisteva e non ne avevano ancora parlato. Alle mie ripetute richieste di intervista Mattarella ha sempre risposto negativamente. Ricevetti anche strane minacce mentre stavo indagando per conto del mio giornale in Sardegna. I militari italiani, nel frattempo, continuavano ad ammalarsi.
Ricordo anche che il comando della Brigata Sassari, dopo la morte di Salvatore Vacca, convocò una conferenza stampa per smentire ciò che io non avevo ancora scritto: fu il cappellano della Brigata, al quale mi ero rivolto per sapere, in un incontro riservato, qualcosa di più su Salvatore e sul possibile nesso tra la malattia e la missione in Bosnia, che spiattellò tutto al comandante e cioè che un giornalista stava indagando sulla morte di un loro soldato, dovuta, forse, a quei proiettili. Smetita preventiva. Non mi è mai più capitato. Iniziai così a scrivere.
Dapprima da solo o quasi, poi qualcun altro incominciò a farlo, ricordo il Manifesto, Liberazione, la Nuova Sardegna, ma ancora poca roba. Per i big della stampa il problema non esisteva e lo scandalo DU non era ancora diventato un caso planetario. Il candidato di Renzi al Quirtinale, Sergio Mattarella, nel nome della trasparenza e della libera informazione, continuava a respingenere le mie richieste di intervista. Provai anche con uno dei suoi sottosegretari, Gianni Rivera, il popolare ex Golden Boy, non ancora eroe di “Ballando con le stelle”, che raggiunsi telefonicamente mentre questi stava dispuntando una partita al circolo del tennis. Non malignate: l’orario di lavoro di un giornalista non sempre coincide con quello di una persona normale. Mettiamola così. Rivera non sapeva neppure cosa fosse l’Uranio Impoverito.
Si arriva così al 27 gennaio 2001, giorno in cui decido di tendere un’imboscata al ministro Mattarella, che si trova ad Ascoli col presidente della commissione Difesa della Camera Valdo Spini per il giuramento del primo contingente di donne militari di truppa dell’Esercito italiano, lo stesso in cui qualche anno dopo si distinse l’istruttore Salvatore Parolisi (ma questa è un’altra storia). Avvicinai Mattarella nella ressa dei giornalisti e riuscii a porgli un paio di domande, alle quali, assai piccato, si rifiutò ancora una volta di rispondere.
O meglio, anche in quell’occasione negò qualsiasi nesso tra DU e i linfomi o le leucemie. Fantasie della stampa. Provai a insistere, ma lui mi respinse con toni e modi definitivi «Questa non è un’intervista» mi disse. «Io le interviste le concordo prima, poi voglio per iscritto le domande e infine leggere il testo del giornalista prima che questi lo dia alle stampe».
Tutte le volte che ho letto qualche sua intervista sui maggiori quotidiani, negli anni a venire, è ovvio che poi ho pensato male. Mattarella girò i tacchi se ne andò, così mi beccai anche il rimprovero dei colleghi perché avevo fatto scappare il ministro con domande “fuori tema”.
Raccontai questa scena nel mio pezzo che conclusi lasciando al lettore ampia facolta di scelta sul caso dell’Uranio Impoverito, che non era diventato un “caso” solo perché Striscia la Notizia non se ne era ancora occupata (l’Italia è questa). Insomma, scrissi, come volete la verità: liscia, gassata o Mattarella? E’ una domanda che ora pongo anche a chi ha avuto la pazienza di leggere tutto il post, del quale mi scuso ancora una volta per la lunghezza. Come deve essere la verità in questo Paese allo sbando: liscia, gassata o Mattarella?
Secondo l’Osservatorio Militare sono 307 i militari italiani morti e oltre 3.700 i malati: è la macabra contabilità della cosiddetta “Sindrome dei Balcani”. Il contingente italiano era di stanza nell’area più inquinata dai colpi sparati in Bosnia e Kossovo: 50 siti, per un totale di 17.237 proiettili, secondo fonti ufficiali Nato/Kfor. Non solo: la missione Nato in cui si parlava di armamenti al DU e dei 13 Tomahawk con testata al DU sparati dall’Adriatico, è stata presentata dall’ammiraglio Leighton Smith alla Base di Ponticelli, Napoli. Solo Mattarella non sapeva o diceva di non sapere.
Tratto da: www.pressnewsweb.it
Fonte: informarexresistere
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MATTARELLA E I “MODESTI REGALINI” DAL “MINISTRO DEI LAVORI” DI TOTÒ RIINA
Mattarella e i “regalini” dalla Mafia. Sandra Rizza per Il Fatto Quotidiano riporta alla luce una interessante vicenda in cui nel lontano ’92 fu coinvolto il probabile prossimo Presidente della Repubblica.
Leggiamo:
Alla vigilia delle elezioni politiche del ’92, aveva ricevuto nella sua segreteria di via Libertà a Palermo una busta: il mittente era l’imprenditore agrigentino Filippo Salamone titolare della Impresem, che qualche anno dopo si sarebbe beccato unacondanna per concorso in mafia con l’accusa di essere l’erede di Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di Totò Riina.
Dentro quella busta, c’era parte di un blocchetto di buoni-benzina per un valore complessivo di 3 milioni di lire (che, aggiungiamo noi, nel 92 non era affatto un regalo di “modesto valore”).
L’incorruttibile Sergio Mattarella, all’epoca deputato e commissario della Dc siciliana, raccontò di averli accettati come un regalo “di modesto valore”, inviatogli a titolo personale da un privato cittadino, e di averli distribuiti dopo le elezioni ai suoi collaboratori . Ma per questo contributo, il notabile siciliano che oggi è considerato uno dei favoriti nella corsa per il Quirinale, finì per un decennio nel tritacarne del processo sulla Tangentopoli siciliana che negli anni Novanta travolse i vertici di tutti i partiti: dai dc Calogero Mannino, Rino Nicolosi, Angelo La Russa e Severino Citaristi, ai socialisti Nicola Capria e Nino Buttitta, al pds Michelangelo Russo.
Fonte: pressnewsweb.it
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STATO-MAFIA, E ORA MANCINO CHIAMA PURE MATTARELLA
E’ lui, infatti, l’unico l’imputato del processo sulla trattativa Stato-mafia che ha dato mandato ai suoi legali, gli avvocati Massimo Krogh e Nicoletta Piergentili, di citare in aula il palermitano prescelto da Matteo Renzi per il Colle
Anche se a sua insaputa, ancora una volta Nicola Mancino ha puntato dritto al Quirinale. E’ lui, infatti, l’unico l’imputato del processo sulla trattativa Stato-mafia che ha dato mandato ai suoi legali, gli avvocatiMassimo Krogh e Nicoletta Piergentili, di citare in aulaSergio Mattarella, il palermitano prescelto da Matteo Renzi per il Colle. E’ così che ‘’l’uomo grigio’’, spedito a razzo verso la più alta investitura istituzionale, potrebbe ritrovarsi nei prossimi mesi nei panni di testimone davanti alla Corte d’assise di Palermo: e se diventasse davvero il dodicesimo inquilino del Quirinale, si assisterebbe al curioso bis di una deposizione presidenziale davanti ai pm che indagano sul patto Stato-mafia. L’avvocato Piergentili, oggi, in evidente imbarazzo, nicchia: ‘’Non mi sembra il caso di fare dichiarazioni sui nostri testi: al momento in aula vengono escussi i testi dell’accusa, e ci vorranno parecchie settimane prima di passare a quelli delle difese’’. Ma perché Mancino ha chiesto la citazione di Mattarella? Cosa si aspetta la sua difesa dalle dichiarazioni del giudice costituzionale che ha fatto del riserbo la sua cifra più caratteristica?
Preso in giro fino a qualche anno fa con il soprannome di ‘’onorevole Martirello’’ per quella sua aria sofferta di parlamentare costretto a portare la croce di un gravosissimo impegno politico, ma in poche ore diventato nella descrizione della maggioranza renziana ‘’un grande italiano’’, Sergio Mattarella appartiene da sempre alla corrente di sinistra della Dc. La stessa di Ciriaco De Mita che di lui ebbe a dire: ‘’In confronto Arnaldo Forlani era un movimentista’’. La stessa di Mancino, ma anche la stessa di Calogero Mannino, ora sotto processo con il rito abbreviato perché considerato l’ispiratore della trattativa Stato-mafia. ”Con Mannino i rapporti erano normali, di reciproco rispetto”, spiegò lo stesso Mattarella nel processo che a Palermo vedeva l’ex ministro agrigentino imputato di concorso in associazione mafiosa (poi fu assolto). E nonostante i due avessero per anni condiviso la leadership della sinistra Dc in Sicilia, in quell’occasione Mattarella specificò di non sapere se Mannino, durante i suoi incarichi amministrativi o di governo, avesse favorito i cuginiNino e Ignazio Salvo, gli esattori mafiosi ma soprattutto i più potenti notabili dello Scudocrociato nell’isola. ”Ho conosciuto i cugini Salvo – spiegò Mattarella -Mannino puo’ avere adottato provvedimenti che riguardavano le esattorie, ma non so se si traducessero in favori”.
Ora gli avvocati di Mancino vogliono chiedergli se la scelta del politico avellinese al posto diVincenzo Scotti al Viminale fosse legata a semplici logiche di partito, come sostenuto dalla difesa, oppure all’esigenza di ‘’liquidare’’ l’ex ministro dell’Interno, che era anche parlamentare, e che nel marzo del ’92 aveva lanciato l’allarme di Elio Ciolini su un ‘’strategia eversiva’’ che avrebbe aggredito l’ordine istituzionale, come sostenuto invece nell’atto d’accusa dei pm. Nel capitolato ammesso dalla Corte d’assise di Palermo, i difensori Krogh e Piergentili annunciano che aMattarella intendono porre domande inerenti alla ”linea adottata dalla Dc nella lotta alla criminalità organizzata”, alla ”deliberazione del partito per rendere politicamente incompatibile la carica di ministro con quella di parlamentare, dopo le elezioni del ’92”, e infine alla fondatezza dell’auspicio che sarebbe stato manifestato da Antonio Gava ”di ricoprire l’incarico di capo dei senatori democristiani al quale era già stato eletto Mancino”.
Di questa citazione di Mancino, il candidato al Colle ora fa mostra di non sapere nulla. ‘’Apprendo – ha detto – di essere indicato come futuro testimone nel processo sulla trattativa’’. E l’avvocatoPiergentili, ora che il suo teste è ad un passo dal Quirinale, è altrettanto parca di parole: ‘’Non mi sembra il momento di rilasciare dichiarazioni su di lui’’. D’altra parte è pur sempre lo stesso avvocato che nella Sala Oscura, davanti a Napolitano, prese la parola per manifestare il suo entusiasmo nel trovarsi di fronte ad una così alta carica: ‘’Volevo solo comunicare la mia emozione – disse – nello svolgere il mio mandato davanti alla sua persona e a questi splendidi arazzi’’. Quegli stessi arazzi che tra qualche ora potrebbero far da cornice all’insediamento di Mattarella nel palazzo che è la più estesa residenza di un capo dello Stato al mondo.
Fonte: movimento5stellenotizie.blogspot.it
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Quella volta che Mattarella mentì
Era il dicembre 2000. Non avevo ancora presente quanto fosse corta la memoria del mio Paese. Erano i giorni dell’uranio impoverito. Anche un raffreddore diventava un sintomo e i nostri militari erano gracilissimi, a leggere i giornali. Non si parlava d’altro e scoppiò il caso, come si dice in gergo. Spuntavano esperti su ogni colonna di giornale. Ma i giornalisti preparati, o soltanto curiosi e indipendenti erano pochi. Eravamo pochi. Fu la mia prima inchiesta a Metro. Me ne innamorai. Forse perchè i miei cugini erano in Bosnia e Kosovo, da militari. Forse perchè la maggior parte dei soldati ammalati erano del Sud. Andai a trovare Valery Melis in ospedale a Milano, e Luca Sepe era mio amico. Cose così. Fatte anche di sorrisi, abbracci e incoraggiamenti. E tanti,troppo funerali. La scienza aveva risposte confuse. E molti di noi confondevamo la radioattività dell’uranio con la sua tossicità chimica. Bisognava diventare esperti di fisica e di chimica e bisognava fare presto. C’erano tante mamme vestite a lutto, e giovani vedove con i sogni a metà.
La politica aveva davanti a sè delle scelte: poteva cercare di capire, informarsi, prendere delle decisioni.
Poteva assistere i ragazzi ammalati, pur negando che ci fosse un problema.
Poteva chiedere conto alla Nato, vedere cosa stava succedendo nel resto del mondo.
Mattarella era ministro della Difesa: scelse la strada più meschina. Alle Camere regalò, qualche giorno prima di Natale, un discorso pieno di “non so”. L’uranio fa male? Non so, non sappiamo. C’è uranio nelle bombe sganciate in Bosnia? Non so, forse sì. Ma la Nato non ci ha informati.
La Nato, tanto per dire, qualche ora dopo smentì lo stesso ministro: ve l’abbiamo detto ufficialmente che su quegli aerei c’era uranio e che lo abbiamo sganciato nei Balcani, e in Iraq (e in Somalia, si scoprirà). C’è un’Ansa a dimostrarlo.
Mattarella non si arrese nel suo tentativo di “far passare la nottata”: organizzò un volo per giornalisti, e c’ero anche io, all’epoca giovane cronista di Metro.
Andammo a Sarajevo dove giovani soldati ci raccontavano di quanto alla caserma Tito Barrak si stesse bene. L’uranio? Non abbiamo paura, ripetevano a memoria. Salvo poi darti i numeri di telefono quando il generale si spostava più in là. Con alcuni di loro sono rimasta in contatto. Sono una fonte preziosa.
Nel frattempo Mattarella istituì la Commissione Mandelli per “trovare la verità”.In pochi mesi avrebbe dovuto realizzare un’indagine epidemiologica per cercare il nesso tra uranio e malattie. Ma Mandelli – che non mi spiegherò mai perchè accettò quell’incarico – aveva numeri sbagliati e quella Commissione non poteva funzionare. Scrisse nella relazione finale che non aveva avuto gli strumenti per indagare ma questo, nella superficialità delle notizie stampa fu tradotto semplicisticamente “Nessun nesso”.
E qualche stupido che fa finta di avere la memoria corta, ancora oggi assolve l’inquinamento bellico perchè Mandelli non trovò il nesso.
La sensazione che ho avuto è che Mattarella ha sempre cercato di coprire (forse perchè malconsigliato dai generali? O dai vertici politici internazionali?), anche se non c’è stato mai un processo nè tantomeno una condanna. Poco dopo, nel 2001, il suo mandato finì, ma sulla vicenda uranio i tribunali si sono espressi: ci sono almeno 20 sentenze di condanna allo Stato italiano a risarcire i soldati. La scienza internazionale ha le prove del nesso tra le bombe e le malattie.
Mattarella non solo ha subito negato l’esistenza di un qualche problema, non ha mai dimostrato di voler capire o fare chiarezza. E così facendo di conseguenza non ha protetto i suoi soldati e non ha cercato la verità. Più di 300 soldati sono morti per la sindrome bellica, dal 1999 a oggi. Migliaia sono gli ammalati.
Se Mattarella dovesse diventare presidente, come capo delle Forze Armate dovrebbe chiedere scusa ai suoi soldati e alle loro famiglie.
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